Il discorso strategico nella politica italiana

“Empires of the Mind. Metaphors and strategic discourse in Italian politics” è il titolo della presentazione che terrò ad Amsterdam nell’ambito di RaAM8, l’ottava conferenza internazionale su Researching and Applying Metaphor, in programma dal 30 giugno al 1 luglio.

Il lavoro analizza l’uso strategico della metafora nel discorso politico durante la campagna elettorale del 2008, che ha condotto alla vittoria del centrodestra di Berlusconi.

Il confronto fra gli stili comunicativi dei due principali candidati, Berlusconi e Veltroni, rivela una diversa attitudine nei confronti della comunicazione politica.

I risultati saranno discussi alla luce delle più recenti evoluzioni degli studi sull’efficacia del discorso politico, tenendo in speciale considerazione l’approccio linguistico-cognitivo di George Lakoff e gli studi sugli aspetti emotivi della persuasione di Drew Westen.  Qui puoi leggere l’abstract completo.

La conferenza è particolarmente interessante perché affianca a un approccio accademico una serie di sessioni di carattere pratico, dedicate all’utilizzo della metafora come strumento per la persuasione nei contesti politici, istituzionali e aziendali.


Gli usi simbolici della politica: il caso Calderoli

Quale fra i due cerchi centrali arancioni è più grande?

Se la formulazione della domanda non inducesse a guardare meglio e a credere di trovarsi di fronte a un trabocchetto, la risposta sarebbe sicura, quello di destra.

Invece hanno le stesse dimensioni, sono identici, nonostante quello di destra appaia all’occhio umano decisamente più grande.

Si tratta del più celebre esempio di illusione ottica, l’illusione di Ebbinghaus, dal nome dello psicologo tedesco che ne scoprì l’esistenza.

Per essere più precisi si tratta di un’illusione cognitiva, dovuta all’interpretazione che il cervello dà delle immagini: la distanza e la grandezza dei cerchi circostanti influenzano la nostra percezione di quelli centrali.

È un esempio classico per illustrare il punto di vista della psicologia della Gestalt, il cui contributo principale alla conoscenza sta nell’aver individuato le basi del comportamento umano non nella realtà in sé bensì nella percezione della realtà.

Tale filone di studio ha avuto il merito di individuare alcune regole di organizzazione dei dati che influenzano la percezione, il cui principio generale viene riassunto comunemente con la frase “l’insieme è più della somma delle sue parti”.

Come nel caso dei cerchi di Ebbinghaus non è l’effettiva dimensione dei cerchi a determinare la percezione che ne abbiamo ma la loro interazione con gli elementi circostanti.

Queste considerazioni sono particolarmente utili anche per spiegare il comportamento politico.

Un esempio è la recente proposta del ministro Calderoli di tagliare del cinque per cento gli stipendi di parlamentari e ministri.

Chiaramente si tratta di una misura simbolica, il risparmio, secondo quanto scrivono Rizzo e Stella sul Corriere della Sera di ieri, sarebbe di soli 4milioni e 800mila euro. “Una briciola rispetto ai costi del Palazzo” come sintetizzano i due editorialisti.

Eppure non c’è da stupirsi che la proposta ottenga un enorme consenso da parte dei cittadini. Secondo un sondaggio on line su corriere.it (che di certo non ha valore statistico, ma può fornire qualche indizio), sarebbe “una buona idea” per l’88% dei partecipanti (dato su 1000 casi).

Nel momento in cui milioni di italiani, già segnati dalla crisi, sono chiamati a ulteriori sacrifici, è lecito che si aspettino che i politici, con i loro lauti stipendi, facciano altrettanto. Lo ritengono sebbene siano consapevoli che si tratti di una goccia nel mare.

Il Pd tuttavia sembra non cogliere la portata del provvedimento e persiste nel portare avanti una linea politica “razionale”.

È esemplificativo il commento della capogruppo al Senato Anna Finocchiaro rispetto alla proposta di Calderoli, “se vogliono fare propaganda lascino perdere, non è il momento di buttar fumo negli occhi degli italiani. Tagliare gli stipendi a mille parlamentari non risolve i problemi”.

Da un punto di vista logico si tratta di una dichiarazione ineccepibile, eppure non si può dimenticare che la politica non è il territorio della logica, come notò chiaramente Murray Edelman, il quale con i suoi studi sugli usi simbolici della politica diede un contributo di primo piano al tema della costruzione del consenso.

Il caso della proposta Calderoli è l’ennesimo esempio di un atteggiamento del Partito Democratico che, concentrandosi sull’aspetto razionale della politica, dimentica il suo valore simbolico ed emotivo, altrettanto – e forse ancor più – necessario per ottenere il consenso dei cittadini.

Post scriptum: tornando al nostro esempio iniziale, se i cerchi arancioni rappresentassero le due coalizioni e chiedessimo ai cittadini di scegliere il migliore – cioè il più grande – quale credete che otterrebbe la maggioranza, quello di destra o quello di sinistra?


La retorica astratta di un partito in cerca d’autore

È partita la campagna per il tesseramento per il 2010: sotto lo slogan “Democratici per costituzione” hanno fatto la loro comparsa per le strade delle città italiane i nuovi manifesti del Partito Democratico.

Lavoro, salute, istruzione, ambiente e pari opportunità sono i temi al centro della campagna.

Ciascuno viene sviluppato con un claim che riecheggia i corrispondenti articoli della Costituzione (vedi slide in fondo all’articolo).

“Il Partito Democratico è fondato sul lavoro”, si può leggere su uno dei cartelloni, con una frase che fa chiaramente riferimento all’articolo uno.

La campagna porta felicemente a compimento l’obiettivo dichiarato di fare del Pd, “il partito della Costituzione e della nuova unità nazionale”, come dichiara il segretario Bersani sulla pagina internet dedicata al tesseramento.

Le allusioni agli articoli creano infatti una chiara associazione fra il Pd e il testo costituzionale.

Tuttavia la campagna rispecchia in maniera piuttosto evidente la difficoltà comunicativa che contraddistingue il Pd, sempre legato a temi astratti, a parole-simbolo, e dunque poco efficace.

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Un nuovo paradigma per una società in mutamento

Pubblicato su Italianieuropei. Anno X n. 2 (2010), pp. 67-76

Mentre la sinistra ha pagato lo scotto della sua incapacità a formulare una narrazione e un’identità nuove, Berlusco­ni ha saputo, anche grazie a un imponente controllo della TV, costruire e adeguare il linguaggio alla scena politica e culturale del paese, con un’efficace comunicazione di sim­boli e valori che ne hanno accentuato i tratti edonistici e in­dividualisti.

Oggi, per la sinistra la sfida può giocarsi nell’ambito dell’elaborazione di una cultura politica che risco­pra il valore del cittadino come persona e le sue aspettative, ma anche attraverso la presenza sul territorio e una mag­giore attenzione alle nuove forme di comunicazione.

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Horse race

Il termine horse race, (dall’inglese, “corsa dei cavalli”) indica una modalità di rappresentazione delle campagne elettorali che enfatizza le dimensioni competitive ed agonistiche rispetto a quelle di contenuto e programmatiche.

Piuttosto che focalizzarsi sui temi e sulle proposte politiche i media tendono sempre più spesso a descrivere le campagne elettorali come se si trattasse di un evento sportivo, per esempio dedicando spazi crescenti ai sondaggi elettorali.

I critici sottolineano che questo genere di copertura mediatica diminuisce l’attenzione nei confronti dei programmi e dei contenuti politici propriamente detti.

Si è affermato in correlazione con la crescita dell’uso dei sondaggi nel racconto mediatico delle campagne elettorali, come sostiene Thomas B. Littlewood nel suo “Calling Elections: the History of Horse-race Journalism”.

Con questo post inauguro una serie dedicata ai termini della politica. Mi fa piacere ricevere suggerimenti e “richieste”, che potete inviare in forma di commento o alla mia mail: giansante.wordpress@gmail.com


Leader britannici a confronto

La Gran Bretagna vede nascere una nuova stella politica, un nuovo Obama, ha gridato qualcuno – un novello Winston Churchill – si sono affrettati a ribadire oltremanica, con il consueto amore per i colori nazionali.

Nick Clegg, 43enne leader del partito liberaldemocratico è salito alla ribalta in pochi giorni, a seguito della brillante performance durante il dibattito televisivo, che lo ha fatto balzare in cima ai sondaggi e alle rilevazioni sulla popolarità.

Il successo di Clegg passa anche per la sua capacità di entrare in contatto con il pubblico in modo nuovo, con i gesti prima che con le parole, marcando un distacco netto rispetto agli altri leader.

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Presidente da vendere di Jacques Séguéla

È uscito in libreria Presidente da vendere, libro-intervista a Jacques Séguéla, pubblicitario francese di successo, celebre per aver curato la campagna elettorale che portò Mitterand all’Eliseo nel 1981.

L’autore del famoso slogan La force tranquile ha il pregio di riuscire a sintetizzare in poche righe alcuni elementi cruciali della comunicazione politica contemporanea. Ne riportiamo alcune:

Ho condotto nella mia carriera venti campagne presidenziali e c’è una costante che le accomuna tutte. Fin dal primo contatto, ho visto una piccola luce accendersi negli occhi del candidato. Un barlume destinato a crescere fino a incendiarsi. Una fiammella già accesa nel cuore del vincitore. Non sa ancora di esserlo, ma io posso già vederlo nel suo sguardo. La scelta, quindi, si indirizza verso colui che porta in sé questa piccola fiamma condivisa.

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Narrazioni strategiche

In che modo gli Stati usano i media per proiettare la propria identità, i propri valori e i propri interessi sulla scena internazionale? Come possiamo valutare il peso di queste narrazioni strategiche?

Sono alcune delle domande alle quali risponde Great Power Politics and Strategic Narratives, il paper di Ben O’Loughlin, Alister Miskimmon (Royal Holloway) e Andreas Antoniades (University of Sussex).

Che si tratti di eventi critici come la protesta iraniana o di crisi finanziarie o degli sforzi di comunicazione diplomatici, gli Stati competono per imporre le proprie narrazioni sulla percezione dello sviluppo mondiale.

La capacità di strutturare il modo in cui le altre potenze concepiscono l’ordine internazionale – come un insieme di sovranità indipendenti piuttosto che di grandi civiltà o di unità che tendono verso un’interdipendenza cosmopolita – favorisce la gestione delle interazioni.

Le narrazioni strategiche costituiscono una lente per comprendere il posizionamento e le interazioni dinamiche che strutturano la politica mondiale sia che ci si occupi di Stati Uniti, di Cina, di finanza, di sicurezza o di cambiamento climatico.


Berlusconi-Palin vs Veltroni-Biden

Presentazione alla Conferenza  annuale dell’International Association for Dialogue Analysis (IADA).

La capacità di costruire un rapporto con l’interlocutore gioca un ruolo importante nella rappresentazione del discorso politico.

Il tema sarà oggetto di una presentazione che terrò insieme ad Alan Cienki, professore alla Vrije University di Amsterdam, già docente alla Emory University di Atlanta.

La nostra tesi è che i politici considerati “populisti” siano portati a costruire la propria partecipazione televisiva come una conversazione, in tal modo facilitando l’attivazione di una “interazione simulata” con il proprio pubblico.

A tale effetto contribuiscono sia aspetti lessicali e sintattici del discorso sia il comportamento co-verbale, in sintesi, non solo le parole ma anche i gesti.

Per testare la nostra ipotesi analizzeremo le campagne del 2008 in Italia e negli Stati Uniti.

Confronteremo i comportamenti in televisione di due politici considerati “populisti” – Sarah Palin e Silvio Berlusconi, con i loro rispettivi antagonisti: Joseph Biden e Walter Veltroni.

L’abstract completo


Ibridazione dei linguaggi e nuove modalità discorsive

La costruzione narrativa nel discorso politico di Berlusconi.

Abstract della presentazione al XXXVII Convegno dell’Associazione italiana di studi semiotici.

La proliferazione dei media e la moltiplicazione delle opportunità di accesso ai prodotti culturali impongono anche alla politica una revisione delle modalità discorsive tradizionali. Così come i media tradizionali devono confrontarsi con i fenomeni generati in ambito digitale anche il discorso politico, per mantenere la propria efficacia, tende a confrontarsi con altri generi, in primis con quello che caratterizza in maniera pressoché esclusiva l’organizzazione dei prodotti di intrattenimento dell’industria culturale: il racconto.

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