Il merito in Italia, le conseguenze di un’opinione depotenziante

da Il Riformista, 11 agosto 2010

Non passa giorno in Italia senza che qualche opinionista più o meno titolato non ripeta in televisione o sulla carta stampata l’originale tesi secondo la quale nel nostro paese il merito non viene valorizzato, con il tradizionale corollario che recita «per potersi affermare onestamente bisogna andare all’estero».

Si tratta di un convincimento largamente condiviso dall’opinione pubblica, che tuttavia non rappresenta una novità: contiene infatti una serie di (pre)giudizi che affondano le radici in profondità nella storia delle idee del nostro Paese.

Il più interessante è quello che dipinge l’Italia come il paese della “spintarella”, contrapposto al “Regno del Merito”, che si estenderebbe fuori dai confini nazionali. Da una parte l’Italia, dove imperano la raccomandazione e il “familismo amorale”, per usare una fortunata espressione coniata da Edward Banfield. Dall’altra, l’estero, entità indistinta che mette insieme Stati Uniti e Spagna, Gran Bretagna e Francia, solo per citare qualcuna delle mète più amate dai “cervelli in fuga”.

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La retorica astratta di un partito in cerca d’autore

È partita la campagna per il tesseramento per il 2010: sotto lo slogan “Democratici per costituzione” hanno fatto la loro comparsa per le strade delle città italiane i nuovi manifesti del Partito Democratico.

Lavoro, salute, istruzione, ambiente e pari opportunità sono i temi al centro della campagna.

Ciascuno viene sviluppato con un claim che riecheggia i corrispondenti articoli della Costituzione (vedi slide in fondo all’articolo).

“Il Partito Democratico è fondato sul lavoro”, si può leggere su uno dei cartelloni, con una frase che fa chiaramente riferimento all’articolo uno.

La campagna porta felicemente a compimento l’obiettivo dichiarato di fare del Pd, “il partito della Costituzione e della nuova unità nazionale”, come dichiara il segretario Bersani sulla pagina internet dedicata al tesseramento.

Le allusioni agli articoli creano infatti una chiara associazione fra il Pd e il testo costituzionale.

Tuttavia la campagna rispecchia in maniera piuttosto evidente la difficoltà comunicativa che contraddistingue il Pd, sempre legato a temi astratti, a parole-simbolo, e dunque poco efficace.

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Generazione Y

Pubblicato su ItaliaFutura il 26 marzo 2010

Si sente dire, sempre più spesso e da sempre più parti, che i giovani non sono interessati alla politica, che si sono rifugiati in un individualismo ovattato, imbottito di partite ai videogiochi e passeggiate nei centri commerciali.

Se è vero che le giovani generazioni dimostrano una tendenziale distanza di sicurezza rispetto ai partiti e alla politica mediatizzata, non è altrettanto corretto affermare che sono impermeabili alla politica tout court.

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Attenzione, in politica arriva la generazione Y

da Il Riformista 26 marzo 2009

Ne hanno parlato i blog in maniera pressoché entusiastica, ne hanno parlato poco (o affatto) i media tradizionali. Ci riferiamo a Debora Serracchiani, 38 anni (ma ne dimostra molti meno) da Udine, consigliere provinciale e dirigente locale del Pd. È la protagonista del video più visto di YouDem, che mostra il suo intervento all’assemblea nazionale dei circoli del Pd.

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