Non chiamatelo “scudo fiscale”

pubblicato su Il Riformista, 3 ottobre 2009

“Scudo fiscale” è l’ingegnoso nome scelto per un provvedimento che, ci dicono dal centro sinistra, non è molto diverso da un ordinario condono o, volendo citare le parole di Bersani, fra i massimi esperti di economia del Partito Democratico, “una colossale ripulitura di denaro”.

L’espressione “scudo fiscale” non viene scelta a caso. Lo “scudo” è un elemento positivo, un oggetto che ci protegge dal nemico, una parola che evoca battaglie mitiche di eroi sul cavallo bianco contro draghi, orchi, mostri di ogni sorta. In questo caso il nemico, è evidente, sono le tasse.

La misura della maggioranza ovviamente non è uno scudo in senso letterale, ci troviamo infatti di fronte a una metafora, uno strumento linguistico che permette di sottolineare alcune caratteristiche di un oggetto, occultandone altre.

Facciamo un esempio. L’espressione ricorda da vicino, lo “scudo spaziale” di Bush, un altro campione della metafora al quale Berlusconi si ispira largamente. In quel caso la parola “scudo” voleva mettere in risalto il fatto che il complesso sistema militare che andava sotto questo nome serviva per difendersi dai terribili “stati canaglia”. Allo stesso tempo occultava un’altra caratteristica, ovvero che questo stesso strumento poteva essere efficacemente utilizzato per scopi di attacco.

Tornando al nostro scudo fiscale, è evidente che si tratta di un’espressione che veicola la visione del mondo della destra, di questa destra, anzi, di Berlusconi, che dalla discesa in campo ha mantenuto sempre fermo un punto, una tenace lotta (verbale) contro le tasse.

Ma non fa parte della visione del mondo del centro sinistra che, usando l’espressione “scudo fiscale” rafforza la visione del mondo della destra, delle tasse come elemento negativo e della misura adottata da questo governo come di un aiuto al comune cittadino tartassato dalla “pressione fiscale”.

Coniando e diffondendo quest’espressione il centro destra di Berlusconi riesce ad attirare la sinistra nella propria visione del mondo: ogni volta che la usa la sinistra fa un harakiri simbolico, rinunciando ai propri valori in favore di quelli berlusconiani.

Con un secondo effetto negativo: anche i giornalisti sono costretti a chiamare il provvedimento in questo modo. Intanto perché è quello scelto dalla maggioranza e in secondo luogo perché non c’è un’espressione alternativa sufficientemente sintetica atta a designarlo. Titoli di giornale, lanci di agenzia, servizi televisivi useranno tutti l’espressione “scudo fiscale”, con il risultato che il suo valore positivo finirà per essere accettato pacificamente da tutti i cittadini. A prescindere da quanto dicano o non dicano quelli che lo avversano.

Ancora una volta un’opposizione allo sbando cade nel gioco di una maggioranza che non lascia nulla al caso, specie quando si tratta di comunicazione.


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