Edgar Morin: Cosa penso della politica italiana

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Da Left, maggio 2008

A 87 anni Edgar Morin è fra i più grandi pensatori viventi. Le sue riflessioni sulla complessità hanno rivoluzionato l’approccio alla conoscenza tipico della modernità. Il rifiuto della distinzione fra i saperi e la natura transdisciplinare del suo lavoro hanno modificato l’approccio alla scienza e alla conoscenza e la svolta radicale che ha impresso al metodo ha segnato il passaggio dal riduzionismo alla complessità. La sua riflessione ha attraversato temi apparentemente molto distanti fra loro come l’ambiente, l’educazione, la biologia e la fisica. La naturale curiosità lo ha portato a interessarsi anche della politica italiana.

La politica vive da una parte una tensione verso la spettacolarizzazione, dall’altra viene percepita sempre più dai problemi della società. Quale crede possa essere il  suo ruolo nel governo di un mondo complesso?

Credo che la politica debba ancora giocare un ruolo importante, specie nel momento in cui deve confrontarsi con problemi e ambiti nuovi. Se fino a due secoli fa doveva occuparsi essenzialmente del buon governo, gli eventi del mondo contemporaneo ne allargano gli orizzonti. Ambiti non politici diventano politici. Pensiamo alla demografia, con l’enorme aumento demografico (da 1,5 milioni a 6,5 milioni in soli 100 anni, ndr) oppure alla biologia, con l’emergere delle questioni legate all’aborto o all’eutanasia. Tutti i problemi umani possono essere politici. E mentre assistiamo all’emergere di questa multidimensionalità dei problemi politici, i partiti sono andati incontro a un processo di sclerosi.

In che senso?

I partiti politici si basavano su un capitale di pensiero molto forte, pensiamo a Marx, a Proudhon, a Fourier, o a Tocqueville, per fare solo qualche esempio. Tutti pensatori del diciannovesimo secolo, che non offrono riferimenti utili a governare il ventunesimo secolo. Allo stesso tempo però i partiti non investono sul pensiero politico, su riflessioni utili ad affrontare le nuove sfide. Inoltre i politici vivono oggi due forme di riduzione. La prima è nel presente, vivono infatti in una dimensione del giorno dopo giorno, senza futuro, senza prospettive. Dall’altra parte assistiamo a una riduzione della politica all’economia, al quantitativo. Quello che non si può misurare non esiste.

Non ci sono vie d’uscita?

Ci sarebbe bisogno di una rigenerazione, di creare contenuti nuovi su cui fondare una visione che permetta di governare la complessità. Per entrare nel concreto, sarebbe necessario puntare sulla scuola, con una riforma dell’organizzazione dell’insegnamento, c’è bisogno infatti un minimo di adesione da parte della società civile per poter generare i cambiamenti di cui il nostro tempo ha bisogno. Bisogna tenere conto del fatto che un sistema complesso ha bisogno che la politica aiuti la società, ma anche che la società contribuisca alla politica. Dei veri cambiamenti possono essere generati solo se un movimento popolare e un movimento politico lavorano insieme. É infatti ormai finita l’epoca in cui si poteva pensare che la politica offrisse soluzioni a tutti i problemi, illusione su cui è stato fondato il comunismo sovietico o quello cinese. Così come che la politica da sola possa dare la felicità e risolvere tutti i conflitti.

Passando alla politica italiana, che impressione ha avuto della campagna elettorale e dell’esito restituito dalle urne?

Ho seguito con interesse le elezioni e credevo sinceramente in Veltroni, anche perché si è fatto portatore di questi temi nel dibattito politico. Tuttavia le cose sono andate come sappiamo…

Una vittoria netta del Popolo della Libertà e di Berlusconi.

Mi sembra che il leader del centro destra italiano faccia parte di un triangolo di populismo insieme con Sarkozy e Putin: sebbene siano diversi hanno molti tratti in comune. I due leader stranieri sono andati incontro a una forte perdita di popolarità poco dopo il voto. Vedremo cosa accadrà con Berlusconi.

Quale crede sia stata la debolezza del centro-sinistra?

Una caratteristica delle forze riformiste è quella di puntare a trasformare la società e gli uomini. Ma questo è possibile solo se li si conosce bene. Non si può trasformare qualcosa di cui non si ha una profonda conoscenza. Inoltre bisogna sempre considerare l’uomo nella sua complessità. Un operaio non è solo un operaio, ma anche padre, marito, cittadino e affronta delle dimensioni della vita che non sono riconducibili solo alla sua situazione professionale.

Che consiglio darebbe a Veltroni e alla sinistra?

Quello di iniziare col rifondare il pensiero, per arrivare a una visione più ampia dei problemi. Credo sia necessaria una grande riflessione che conduca non a un programma ma a un percorso. In questo modo sarebbe possibile acquistare una percezione della complessità della realtà. Altrimenti si rischia di rimanere invischiati in una mutilazione della politica e del pensiero.


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