“Armageddon” e “Titanic”: ma la crisi non è solo un film

Pubblicato su Linkiesta

Giulio Tremonti ha detto che siamo sul Titanic. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha paventato l’Armageddon, la fine del mondo rappresentata nella Bibbia. In entrambi i casi, in realtà, si evoca in tutti una memoria cinematografica, falsamente rassicurante: perché questo non è solo un film.

Armageddon e Titanic: l’apocalisse della Bibbia e il disastro navale più famoso della storia. Il primo scenario viene evocato dal presidente americano Barack Obama, il secondo dal ministro dell’economia Giulio Tremonti. In entrambi i casi, per descrivere la crisi e i possibili scenari che potrebbe provocare viene impiegata una metafora. Le metafora è infatti uno strumento molto utile per parlare di temi economici, perché riesce a rendere comprensibile un argomento per sua natura complesso.

Tuttavia le metafore impiegate non hanno un impatto forte come quello voluto. Questo accade in parte perché siamo anestetizzati all’uso dei termini forti. Basta superare i trenta gradi per parlare di “caldo killer”. È sufficiente un incidente mortale per titolare a sette colonne incolpando l’“autostrada della morte”. In altre parole, le enfatizzazioni mediatiche sono così spesso all’ordine del giorno che ormai hanno perso di significato.

Un’altra ragione di inefficacia deriva da una seconda caratteristica che le due metafore hanno in comune: sia Armageddon, sia Titanic sono kolossal del cinema americano. Qui entra in gioco il potere cognitivo della metafora, prendiamo l’esempio di Titanic. Tremonti ci sta dicendo che la crisi finanziaria “è come Titanic”, cioè un grande disastro navale ma allo stesso tempo un capolavoro cinematografico. Utilizza un termine che proviene dal dominio semantico dello spettacolo per parlare di economia.

Come ha spiegato chiaramente il linguista George Lakoff (noto ai più per il best seller “Non pensare all’elefante”) la principale caratteristica della metafora è quella di descrivere un concetto (astratto) nei termini di un altro (concreto). In questo modo sottolinea alcuni elementi e ne occulta altri. Cosa vuol dire? Applicato al nostro caso la principale implicazione della metafora del Titanic è quella di associare alla crisi economica le caratteristiche di una pellicola cinematografica, in altre parole di sottolineare, a livello inconscio, che la crisi è in qualche misura una finzione, che non avrà un impatto reale sulle nostre vite.

Per questa ragione le frasi di Tremonti e Obama, anche se veicolano un immaginario catastrofico, non ci preoccupano davvero. È come se una voce dentro di noi ci dicesse, “stai tranquillo, è solo un film, non accadrà veramente”.

C’è, infine, un terzo motivo per cui queste metafore sono efficaci solo in parte. Il loro uso, infatti, si limita a dare l’idea di una generica situazione di pericolo, di rischio estremo, ma non permette di capire i reali termini del problema, tantomeno consente ai politici di creare consenso per l’attuazione di politiche adeguate a evitare il rischio.

Sarebbe più efficace impiegare una metafora che rendesse meglio l’idea della situazione che stiamo vivendo. Facciamo un esempio, pensando al caso italiano. L’Italia in fondo è come una famiglia, una famiglia benestante, che guadagna, diciamo – per semplicità – mille euro al mese.

Però ha un passato burrascoso, negli anni scorsi, infatti, ha fatto spese folli, sprecato senza pensarci troppo e ora si ritrova con un mare di debiti, diciamo quasi 15mila euro, cioè più di quello che guadagna in un anno. Non ce la fa a ripagarli tutti insieme e per questo li rimborsa un po’ alla volta, pagando chiaramente un interesse molto salato.

Per questa ragione una parte dello stipendio se ne va per pagare il debito e gli interessi. E così bisogna rinunciare a volte anche a cose importanti, come comprare i libri dei figli e le medicine.

Come fare dunque? Ci sono solo due soluzioni. O guadagnare di più, ma non è facile e non è possibile farlo da un giorno all’altro, soprattutto se non si investe. Oppure liberarsi una volta per tutte del debito, chiedere a tutti un grande sacrificio ma poi finalmente tornare ad avere a disposizione tutto lo stipendio.

Nessuna delle due soluzioni viene scelta, e si opta invece per la strada dei piccoli passi: facciamo un (bel) po’ di sacrifici per tre anni, così sembra meno pesante e siamo tutti contenti. Ma è una scelta che può rivelarsi addirittura più rischiosa, perché il piccolo risparmio può venire bruciato in una mattinata di speculazione finanziaria, come è successo nei giorni scorsi.

Si tratta chiaramente di una semplificazione, tuttavia un discorso del genere potrebbe far capire ai cittadini lo stato delle cose e aiutarli a prendere una decisione più informata e più consapevole. E forse metterebbe le basi anche per risolvere una volta e per tutte la questione del debito, che affligge ormai da troppo tempo l’Italia, con effetti nefasti sulla nostra economia, che vuol dire, in concreto, sulla vita di tutti noi.


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